Stasera treno delle 18.09. Salgo cinque prima della partenza, oh almeno così credo perché quando guardo l’orologio sono le 18.16 e siamo ancora fermi a Bolzano. Ho trovato posto abbastanza facilmente al centro della carrozza, vicino al corridoio. Ora tutti i posti sono pieni e la gente è calcata vicino le porte. Appena prima che queste si chiudano, una figura anziana avanza in modo incerto tra la gente e scende i gradini che portano nel corridoio senza mai alzare lo sguardo. Nella mano destra agita una borsa bianca di plastica: dentro c’è poca roba, sembrano tre arance. Il sacchetto si muove adagio, oscilla insieme al corpo dell’uomo proprio come se fosse una sua appendice. Distolgo il mio sguardo (incantato) dal sacchetto e quando mi passa di fianco mi accorgo che il suo cappotto è tutto macchiato. Ora riesco a vederlo in volto: ha la barba grigia, incolta, lunghissima. Capelli bianchi, arruffati, un viso scavato dalle rughe e dal tempo. Bisbiglia fra se, ogni tanto tira fuori un po’ di pane dalla tasca e ne mangia un po’, il passo sempre incerto. E’ un clochard ed è la prima volta che ne vedo uno così vicino a me (a pochi centimetri) e così anziano per giunta.
Mi guardo attorno per controllare se qualcun altro ha fatto la stessa scoperta e vedo che la maggior parte dei miei compagni di viaggio ha un’espressione disgustata, meravigliata. Le mani sono sul viso con un fazzoletto sul naso. Ora lo sento anch’io: tutta la carrozza emana un olezzo di vino. E’ nauseante anche per me. E’ un odore acido, pregnante e pare che sul treno non ce ne siano mai stati altri per anni. Il vecchio nel suo lento procedere continua a fare su e giù per il corridoio. La gente inizia a scappare una alla volta, raduna le sue cose, si congeda con un “io non ce la faccio” e se ne va. Qualcuno dimentica pure il giornale gratuito nella fretta. Alcuni posti si svuotano altri rimangono saldamente incollati ai culi dei rispettivi proprietari che neanche per morte vogliono stare in piedi, dopo aver tanto faticato. Nel frattempo la maggior parte dei finestrini è stato spalancato, l’aria fresca è quasi una manna: grazie Treitalia, almeno i finestrini vanno!
Il posto davanti a me si libera tra i primi. Posso capire il povero impiegato che dopo una giornata storta si deve subire anche questa. Il clochard ne approfitta, si siede di lato e appoggia il sacchetto incantatore in un altro posto vacante oltre il corridoio. Messo lì così, abbandonato, sembra che possa minacciare chiunque altro abbia intenzione di muoversi. Io sono ancora fermo, stupito e non so cosa fare. Di certo non ho intenzione di andarmene. Quest’uomo potrebbe essere mio nonno. Anche se inizialmente ho provato disgusto non posso andarmene, non ho la forza: è pur sempre un uomo. Poi improvvisamente si alza, si dirige di nuovo verso gli scalini: potrebbe scendere a Bovisa ma non lo fa. Si volta, torna indietro, mentre ogni suo minimo, tremante gesto è osservato attentamente da una quarantina di persone. Penso che se qui ci fosse un terrorista avrebbe lo stesso trattamento. E’ incredibile.
Mi supera, apre con difficoltà la porta che separa lo scompartimento e la richiude dietro di sé. Un unico sospiro di sollievo unisce tutta la carrozza. C’è qualche gesto di soddisfazione, la tensione si distende. “Ohhhh finalmente, che se lo prendano loro, adesso!!”.
Io mi sento a disagio, questi commenti mi danno imbarazzo. Avrei voglia di strillare in faccia a questa gente. Come si fa a non capire. A ridere di fronte a chi soffre? Non si può neppure immaginare cosa abbia passato questo vecchio per ridursi così. Quanta sofferenza dentro di lui. Come non si può avere rispetto per chi è in difficoltà?
I nostri vecchi si lamentano sempre dei dolori, che nessun parente li va a trovare mai abbastanza e che la pensione è sempre bassa. Cosa dovrebbe dire questo clochard senza un posto dove stare, con solo un sacchetto bianco di plastica con tre arance dentro e del pane nella giacca?
Quanto tempo è passato? Quanto tempo mi ha regalato quest'uomo?