giovedì 6 novembre 2008

intervista a Walter Vezzù- anniversario 40 anni SCOUT Bolzano 4



Il gruppo scout “Bolzano 4” dell'Agesci compie 40 anni e chiama a raccolta i 1.000 bolzanini che sono transitati in questi anni per la storica sede di Regina Pacis.
Si tratta di una di quelle occasioni in cui si mette in pratica fino in fondo il detto “una volta scout sempre scout”. Gli esploratori di Regina Pacis si ritroveranno sabato 8 per condividere il fuoco di bivacco e quindi coinvolgersi domenica 9 novembre in giochi e attività varie, che culmineranno nella proposta di una galleria di foto d'epoca e la santa messa.
La voce rimbalza già da mesi. Da ogni parte dell'Alto Adige, dal resto d'Italia ed anche dall'estero, gli scout del Bolzano 4 convergeranno in via Dalmazia portando con sé gavetta, fazzolettone ed altri ricordi dei tempi delle “uscite”, delle “riunioni di comunità capi” e dei campi estivi.
A fare da punto di riferimento saranno le attuali “anime” del gruppo: Valter Vezzù (tel. 333 6048948) e Alessandro Muscatello (tel. 347 3862489).

PROGRAMMA DEI FESTEGGIAMENTI
Regina Pacis, via Dalmazia, Bolzano
Sabato 8 novembre
ore 20.00 Fuoco di Bivacco
... a seguire: Tè caldo, qualche castagna e tante chiacchiere assieme
Domenica 9 novembre
ore 10:30 cerchio d'apertura
ore 11:00 Santa Messa animata dagli scout
ore 12:30 Pasto scout con visione audiovisivi e materiale scout
ore 13:30 torneo di Roverino
ore 17:00 chiusura

INTERVISTA A VALTER VEZZU', COORDINATORE DEL BOLZANO 4
Quando è nato il gruppo scout Bolzano 4?
Nel 1968 appunto, da una costola di quello che una volta era il gruppo di Gries. Erano una quindicina di ragazzi. La numerazione dovrebbe avere una logica sequenziale, ma la cosa non è così rigorosa. Il primo assistente ecclesiale che abbiamo avuto è stato don Giancarlo Maistrello.
Qual è la collocazione specifica della proposta scout rispetto al mondo ecclesiale?
In questi 40 anni c'è stata una notevole evoluzione e un avvicinamento nello specifico al mondo ecclesiale. Negli anni '70 tutto il mondo giovanile ed anche gli scout erano piuttosto lontani dalla chiesa. Se nei gruppi erano presenti contenuti religiosi questo era dovuto alle singole forti personalità degli assistenti. Oggi siamo noi scout che andiamo a richiedere percorsi di catechesi, da affiancare alle altre attività.
Qual è stato il momento di maggior successo, nel gruppo?
Dal punto di vista numerico senz'altro all'inizio degli anni '80, anche se dal punto di vista educativo è stato un periodo un po' controverso.
Qual è la differenza principale tra le attività degli scout e quelle dei centri giovanili?
Noi ci concentriamo sulle persone. I centri giovanili invece lavorano di più sulle attività. D'altronde non tutti i ragazzi sono fatti per lo scoutismo, è giusto che ci siano proposte diversificate, con differenti gradi di affiliazione. Un'altra differenza è rappresentata dal fatto che nello scoutismo tutti gli educatori sono volontari, nei centri giovanili ci sono invece educatori professionali. In realtà a ben vedere oggi anche nei centri giovanili l'impronta scout è significativa, perché molti operatori che lì operano provengono proprio dalle esperienza scout, sia di Agesci che di Cngei.
Qual è la vostra relazione con i gruppi giovanili parrocchiali?
In origine c'era concorrenza e noi eravamo i “cugini poveri”; oggi spesso le due realtà coincidono. A Regina Pacis negli anni '70 hanno convissuto qui gruppi con delle identità davvero forti. Erano tempi di grandi idealità ed anche di forti contrapposizioni. Con figure carismatiche davvero significative: sopravvivere dopo quell'epoca non è stato facile. Il gruppo scout di don Bosco da questo punto di vista ha avuto una storia più “regolare”.
Qual è la relazione con gli altri gruppi scout Agesci di Bolzano?
Restiamo solo noi e don Bosco. In origine c'erano anche Oltrisarco e Pio X. Il Bolzano 8 di Oltrisarco ha chiuso per mancanza di ragazzi, quando il quartiere stava invecchiando e non erano ancora sorti i nuovi rioni come l'ex Mignone.
Esiste concorrenza anche con gli “altri” scout, cioè il Cngei e gli scout di lingua tedesca?
Cngei a Bolzano è sempre stata minoritaria rispetto ad Agesci, anche se rispetto alla realtà nazionale la sezione di Bolzano è stata sempre molto significativa. In passato le collaborazioni ci sono state, ma non è stato facile attivarle. Oggi loro sono molto più vicini a noi ed è molto più facile collaborare. Le differenze ci sono, però l'anno scorso con la festa del centenario abbiamo lavorato insieme molto bene. Oggi ci sono più differenze tra noi e gli scout di lingua tedesca, che sono decisamente meno strutturati di noi; soffrono molto la concorrenza in casa delle varie associazioni giovanili di lingua tedesca e soffrono anche la carenza di spazi fisici. Tuttora loro sono consociati e quindi si appoggiano a noi per poter partecipare agl incontri internazionali. In ogni caso dal punt odi vista formativo fanno riferimento alla Germania.
In conclusione, qual oggi il nucleo della proposta scout?
C'è sempre il rischio di formare dei ragazzi che, se sono scout al 100%, sono in netta controtendenza nei confronti dei loro coetanei. Tra gli scout esiste un po' la tendenza a chiudersi.
E' anche vero che l'idea originaria di Baden Powell era quella di creare un buon cittadino inserito a pieno titolo nella società. L'anno scorso con i festeggiamenti per il centenario dello scoutismo abbiamo scoperto che sono tantissime le persone che, pur non essendo più in “attività”, mantengono saldi nella loro vita i valori appresi quando erano nei nostri gruppi. E questo ci ha dato speranza nel guardare verso il futuro.

ANNIVERSARIO 40 anni SCOUT BOLZANO 4

martedì 4 novembre 2008

pioggia a Bolzano











Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l'arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede - questo è il male -
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

chi è il mio prossimo?




«Chi è il mio prossimo?» chiede lo scriba; e la sua domanda diventa stimolo a una riflessione approfondita. S’immagina, quindi, un mondo dove lui, lo scriba, occupa il centro dello spazio e attorno a lui si collocano gli altri uomini, alcuni vicini (prossimi), altri lontani (non prossimi).

Il problema sta dunque nel determinare quella linea ideale che separa questi due ambiti; possiamo far passare questa linea molto vicino e considerare come “prossimi” solo i parenti e gli amici; possiamo allargare l’ambito e considerare tra il prossimo anche i concittadini, i connazionali… ma ci sarà sempre un limite oltre il quale il dovere di amare il prossimo non sussiste più. Chi è meschino amerà pochi; chi è generoso si sentirà chiamato ad amare molti; in ogni caso si tratterà di definire i confini dell’amore e, al contrario, gli ambiti in cui non sono tenuto ad amare. Per questo, Luca nota che, con la sua domanda, lo scriba cercava un pretesto per giustificarsi.


Farsi prossimo
Cancelliamo allora la linea divisoria tra i vicini e i lontani e diciamo che si debbono amare tutti, senza eccezione. È risposta nobile, certo; è risposta vera; ma non correrà il rischio di diventare risposta astratta? Che senso può avere amare i lontani che non vedo direttamente, che non disturbano le mie abitudini e non minacciano i miei beni? Sembra più difficile del previsto determinare il senso di quel comando: «Ama il tuo prossimo come te stesso».

E allora Gesù ci racconta una parabola; è il suo metodo usuale per superare i punti morti della discussione. Ci parla, Gesù, di un uomo assalito dai briganti e lasciato lungo la strada “mezzo morto”; ci parla di persone religiose (un sacerdote, un levita) che passano, vedono il ferito e s’affrettano ad allontanarsi; ci parla, infine, di un altro viandante che prova compassione (e cioè sente la miseria del ferito come fosse sua), s’avvicina (il verbo va notato attentamente) e compie una serie di gesti premurosi che hanno lo scopo (e l’effetto) di salvare la vita del malcapitato. Il racconto termina con una domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?» (Lc 10, 36). Abbiamo spostato l’interrogativo: non si tratta più di definire chi è il prossimo; si tratta di vedere come farsi prossimo di chi ha bisogno. E vale la pena osservare alcune cose.

Davanti all’uomo
Il ferito è, nel racconto di Gesù, semplicemente uomo. Io vorrei saperne di più: un giudeo o un pagano? un bianco o un nero? un nomade o un sedentario? un milanese o un meridionale? Niente: un uomo. L’esistenza di un uomo, la miseria di un uomo – di qualsiasi uomo – devono essere sentite come un appello sufficiente alla solidarietà, come sorgente di “compassione”. Se dell’identità del ferito la parabola non ci dice nulla, ci dà invece un’informazione precisa sull’identità di colui che si ferma: è un samaritano. Samaritano vuol dire, dal punto di vista religioso, lo scismatico, dal punto di vista etnico il diverso, dal punto di vista sociale l’emarginato; è il lontano per definizione, il non-prossimo. Non conta; è lontano ma “si fa” vicino. Il concetto di prossimo si sposta da una visione statica a una prospettiva dinamica. Non si tratta di definire astrattamente “chi è’ il prossimo; si tratta di collocarsi nel modo giusto di fronte al bisogno dell’altro, dell’uomo; si tratta di “avere compassione” dell’uomo non perché è parente o amico o compagno, ma semplicemente perché è uomo. Si tratta di ripetere personalmente il “sì” che Dio ha pronunciato (e continua a pronunciare) su ogni persona umana.